Da tempo ho rinunciato a spiegare che lavoro faccio. Resto sul vago: comunicazione e formazione.
Ma anche quello è pericoloso, perché poi ti chiedono se vai in aula. Cosa che faccio per ben tre giorni all’anno. Il resto del mio tempo lo dedico in gran parte a “farmi venire delle idee” e poi a trasformarle in struttura, scrittura e contenuto. Penso, progetto e organizzo la realizzazione pratica di un prodotto culturale. La parte più bella del mio lavoro, quella creativa, resta sulla carta, in potenza. Un perenne “potrebbe essere”.
Immagino, cerco di trovare nuove soluzioni emettendo versi strani, lamenti più o meno squillanti uniti a improbabili avances, smorfie o domande imbarazzanti che solitamente rivolgo al giovane collega che ha la sventura di sedere alla mia destra.
Ma dire che “pensi” non basta e anche se ti affanni per far capire cosa c’è dietro la realizzazione di un qualsiasi prodotto multimediale, dall’ideazione al debug, quel che ricavi sono alzate di spalle e una raggelante conclusione: “praticamente fuffa”.
Dopo un po’ ci rinunci. “Vado in ufficio, lavoro su progetti”, se dici così sembra quasi un lavoro vero ed eviti sguardi pensosi e visi perplessi.
Dagli amici, però, lo capisci: non sono del mestiere e poi qualcosa dentro di te lo sa che la comunicazione è fuffa. Magari non lo vuoi ammettere, ma questa consapevolezza, che nascondi sotto anni di studi e libri di Baudrillard, vive in te. E’ lì, ti guarda e ogni tanto si fa viva per sussurrarti che alla fine è solo fuffa. Pare sia inutile. Non fa paura a nessuno, la fuffa. Bisogna essere stupidi per caderci. Bisogna non avere coscienza critica.
Non avevo mai pensato di poter lavorare grazie all’ingenuità del genere umano. Il mio ego ne sarà contento, sebbene mi renda conto che ciò sia estremamente disperante.
E lo è di più quando a non capire che mestiere fai sono i clienti. Quelli che ti chiamano per un lavoro e che ti definiscono “ingegnere” o “informatico”. Quelli che ci rimangono male quando affermi di non essere l’autore fattivo del prodotto, che quello lo fanno i grafici e i programmatori, e che tu ti sei limitata a progettare e a seguirne lo sviluppo. Sono sempre loro a chiedere candidamente: ma se questo non lo fai tu, allora che lavoro fai?
Project manager e creativa, praticamente fuffa.
Ricetta consigliata a chi deve armarsi di pazienza per spiegare le peculiarità del proprio lavoro:
Plumcake salato agli asparagi: l’antistress egemonizzante
22 aprile 2011 at 10:06
quanto ti capisco.
quanto.
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22 aprile 2011 at 10:36
Pensavo che siamo nell’era della comunicazione, siamo comunicatori eppure non riusciamo a comunicare che lavoro facciamo.
E uso il plurale, così mi sento meno stupida: come dire mal comune mezzo gaudio.
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22 aprile 2011 at 11:49
mia madre ha smesso da poco di pensare che io ripari televisori …
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22 aprile 2011 at 12:09
i miei rispondono: “insegna sul computer”.
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22 aprile 2011 at 12:25
beata gioventu’
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22 aprile 2011 at 14:56
Ah ah ah, bella questa!
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22 aprile 2011 at 15:17
eh Grazia vedi che Mauro è vecchissimo, al suo confronto anche matusalemme è ggiovine 🙂
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22 aprile 2011 at 16:14
…. ulo ! 🙂
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22 aprile 2011 at 12:30
io rispondo “incontro i fornitori e chiedo i soldi sorridendo”
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22 aprile 2011 at 12:50
🙂 Comincio a credere che invece di rispondere potremmo abilmente sviare la conversazione su altri argomenti, tanto siamo fuffologi, ci viene bene “inventare ca@@ate” 😛
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22 aprile 2011 at 13:11
Credo di capirti. Bene direi.
Quando mi chiedevano se/cosa studiassi, dopo la mia risposta i più ribattevano:
“Ma fai l’interpretazione dei sogni? Ma usi la poltrona lunga e ci fai sdraiare i pazienti?”
“No, quelli sono gli psicoterapisti. Io non sono uno psico… va beh dai, lascia perdere”
Con il lavoro le cose non sono certo migliorate. Nel tuo caso almeno esiste un etichetta formale per definire la figura professionale a cui fai riferimento.
Nel mio no.
Nemmeno chi mi ha assunto aveva (o ha) le idee particolarmente chiare rispetto alle mie esatte mansioni: è stato definito un ampio ambito di competenze (nemmeno omogeneo) e tanto basta.
Una selezionatrice di risorse umane l’altro giorno mi ha detto:
“Sai, voi siete davvero rari da trovare, non ce ne sono molti in giro”
“Noi chi?”
“Beh… voi… te l’ho detto, non siete in tanti”.
Hai vinto un nuovo lettore occasionale, saluti,
Gert_dal_pozzo
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22 aprile 2011 at 13:28
L’etichetta esiste ma nessuno capisce che vuol dire e noi, purtroppo, siamo ciò che gli altri credono di noi.
Quindi ho vinto due lauree: ingegneria e informatica, alla fine mica mi va male 🙂
Peggio diventa quando mi definisco instructional designer: lì non sanno associarmi a nessun corso di laurea!
Benvenuto nel mio blog Gert mio lettore occasionale 🙂
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22 aprile 2011 at 19:11
perchè, non insegni sul computer?
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23 aprile 2011 at 10:35
Non si parla di lavoro nel weekend…A proposito oggi la giornata è cominciata benissimo: colazione con pastiera napoletana e pigna (il dolce e non il frutto) arrivati freschi da Marcianise. Che bontà.
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23 aprile 2011 at 01:03
Io attendo con ansia la ricetta, da proporre ad una persona che conosco e che vive il tuo dilemma esatto esatto, quindi conosco questa tua solitudine..
Gli proporrò questa lettura e forse forse vinci un altro lettore occasionale =)
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23 aprile 2011 at 10:37
E la ricetta sarà del tutto vegetariana!
Così, magari, la cucini tu: è bello consolarsi preparando manicaretti, ma a volte essere consolati aiuta ancora di più! 😉
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3 settembre 2011 at 13:38
Per dimotrare che non sono solo cose fuffose quelle che faccio ho caricato anche il mio portfolio sulla sezione contact me.
Adesso si capisce che lavoro faccio?
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3 settembre 2011 at 18:31
Quando una spacca, spacca…
dovessi farlo io un profilo ci metterei solo una foto della mia facciaccia pelosa con un’espressione stolida del tipo “perchè chiedete a me, io non ne so nulla!”
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4 settembre 2011 at 00:18
Quindi é strabello? :p grazie, spero che adesso si capisca che lavoro faccio. E spero di capirlo anche io!
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4 settembre 2011 at 04:04
Pompati ragazza…
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